giovedì 31 ottobre 2013

DOCUMENTO SCRITTO DA NICOLA GAI PER L'UDIENZA DEL 30 OTTOBRE

«Nessuno, mi può giudicare
Nemmeno tu
La verità ti fa male lo so.»
C. Caselli


Poche parole per affermare alcuni semplici dati di fatto prima che la “verità” venga stabilita in sede processuale; nel caso non fosse chiaro il termine “verità” l'ho usato con un'accezione ironica, infatti non riconosco altro tribunale al di fuori della mia coscienza. Gli unici responsabili di quanto avvenuto a Genova, il 7 maggio 2012, siamo io ed Alfredo. Nessun altro, tra amici e compagni, era al corrente di quanto stavamo progettando e poi abbiamo realizzato. Per quanto scaviate nelle nostre vite e nelle nostre relazioni per cercare altri complici del “misfatto” non potrete dimostrare il contrario, certamente ci proverete, ma in tal caso non si tratterà che di falsità e del tentativo di incastrare qualche nemico dell'esistente. Capisco che per chi ha dedicato la sua vita a servire l'autorità non sia facile arrendersi all'idea che due individui, armati solo della propria determinazione, possano decidere di provare ad inceppare gli ingranaggi del sistema tecno-industriale invece di contribuire, disciplinatamente, a farli girare, ma le cose stanno semplicemente così. Dopo anni passati ad assistere alla sistematica distruzione della natura e di tutti gli aspetti che rendono la vita degna di essere vissuta ad opera del mai troppo decantato sviluppo tecnologico. Anni trascorsi a seguire con interesse, ma sempre da spettatore, le esperienze di quei ribelli che, anche in questo mondo che sembra pacificato continuano ad alzare la testa per affermare la possibilità di una vita libera e selvaggia. Dopo il disastro di Fukushima, quando Alfredo mi ha proposto di aiutarlo nella realizzazione dell'azione contro l'ing. Adinolfi, ho accettato senza esitazione. Finalmente potevo manifestare concretamente il mio rifiuto per il sistema tecno-industriale, smetterla di partecipare a proteste simboliche che troppo spesso non sono altro che manifestazioni di impotenza. Nessuno con un minimo di ragionevolezza può illudersi che l'esito di un referendum o le cialtronerie di qualche guru della green economy possano cancellare, anche solo, gli aspetti intrinsecamente più nefasti del mondo in cui siamo costretti a vivere. È sotto gli occhi di chiunque voglia vedere che Finmeccanica, con la sua controllata continua a produrre armi di distruzione di massa; semplicemente lo fa fuori dai confini italiani, come se le radiazioni rispettassero quelle infami barriere. In Romania (Cernadova, sfortunata località, nota principalmente per gli innumerevoli incidenti accorsi alla centrale), Slovacchia ed Ucraina, solo per citare gli investimenti più recenti e diretti, Ansaldo Nucleare continua a seminare morte ed a contribuire alla distruzione della natura. Come dovrebbe essere evidente a tutti, con altre 190 centrali nucleari solo in Europa, il problema non è chiedersi se possa avvenire un'altra Chernobyl, ma solamente quando questo accadrà. E come se ciò non bastasse, non dobbiamo dimenticare che tali mostruosità non uccidono solo quando sono in funzione, ma pure con le loro scorie. Queste vengono trasportate avanti e indietro attraverso l'Europa senza che nessuno sappia realmente cosa farne. Quelle delle centrali italiane, spente da decenni, vengono a tutt'oggi trasportate in Francia per essere messe in “sicurezza”: ne ricavano combustibile per alimentare altri reattori e anche qualche chiletto di plutonio che può essere utilizzato solamente per costruire bombe (tanto per ricordarci che quando si parla di nucleare non vi è differenza tra uso civile e militare), poi ce le rimandano pericolose, pressoché, quanto prima. A questo proposito chissà mai cosa se ne faranno gli americani dell'uranio trasferito negli USA quest'estate, in gran segreto, da un deposito di scorie in Basilicata. Potrei stare ore a parlare dei danni e delle distruzioni causate dal nucleare, fare innumerevoli esempi, ricordare quello che sta succedendo a Fukushima (dove a detta di qualcuno, nessun morto era imputabile alla centrale...), ma non sono qui a cercare giustificazioni. Il nucleare è forse l'elemento di questo mondo civilizzato dove l'insensatezza e la mostruosità del sistema tecno-industriale può essere comprensibile a chiunque, ma dobbiamo renderci conto che sull'altare dello sviluppo tecnologico stiamo immolando ogni presidio della nostra libertà individuale e della possibilità di vivere una vita realmente degna di essere vissuta. Ora sta solamente ad ognuno di noi decidere se essere sudditi obbedienti o provare a vivere, qui ed ora, il rifiuto dell'esistente. Io la mia scelta l'ho fatta, con gioia e senza rimorsi.
Noi usciremo di qui bollati come terroristi, la cosa divertente è che potrete affermarlo senza sentirvi ridicoli: lo dice il codice penale. Quello che è certo, è che le parole non hanno più alcun significato; se noi siamo terroristi, come definireste chi produce armi, sistemi di puntamento per missili, droni, cacciabombardieri, equipaggiamenti per cacciare uomini che tentano di varcare un confine, centrali nucleari, che tratta alla pari con assassini in divisa e rinomati dittatori, insomma, come definireste Finmeccanica?
Certo nemmeno i vostri mandanti brillano per fantasia, tanto che, per fugare eventuali dubbi sulle reali funzioni di questa azienda, recentemente ne hanno messo a capo l'ex-poliziotto Gianni De Gennaro: vista la sua responsabilità nelle torture di Bolzaneto e nel massacro della Diaz, in quanto capo della polizia, durante il G8 del 2001, hanno logicamente pensato che fosse l'uomo giusto al posto giusto.
Tornando al motivo di questa mia dichiarazione vorrei fare qualche precisazione in merito alla “brillante” operazione che ha portato al nostro arresto. Chissà quante strette di mano e pacche sulle spalle si sono prese gli astuti segugi che sono riusciti a mettere a frutto un nostro unico quanto fatale errore, dettato dall'inesperienza e dall'urgenza di fare qualcosa dopo il disastro di Fukushima, infatti, non ci siamo accorti di una telecamerina piazzata dallo zelante padrone di un bar a protezione dei suoi tramezzini. Purtroppo, per noi, non l'abbiamo vista mentre studiavamo il percorso che dal punto in cui abbiamo lasciato il motorino portava alla fermata dei bus che, dopo un cambio, ci avrebbero portato alla periferia della città nella direzione di Arenzano, dove era parcheggiata la mia macchina che abbiamo usato per raggiungere e lasciare Genova. A dir tutta la verità, quello della telecamera non è stato l'unico errore commesso, abbiamo anche perso istanti preziosi al momento di allontanarci dal luogo dell'azione, il grido rabbioso dell'apprendista stregone dell'atomo: «Bastardi, so chi manda!» ci ha paralizzati. Non sta certo a me avanzare ipotesi sul significato di quella frase, il momento non favoriva pacati ragionamenti e, tanto meno, è mio costume costruire castelli in aria sulle parole pronunciate da un'altra persona, ma personalmente ne ho tratto la conclusione che avevamo affondato le mani in una montagna di merda. Tutti gli altri elementi che hanno giustificato la nostra detenzione o sono distorti o, semplicemente, falsi. La famosa intercettazione del “pistolone”, in cui avrei affermato di aver sparato è assolutamente incomprensibile, ora è inutile coinvolgere periti per smontarla, ma essendo stato alla guida del motorino è impossibile che possa aver impugnato anche la pistola, e oltre tutto mi pare logicamente assurdo che mi sia messo a raccontarlo proprio a chi aveva partecipato con me all'azione, cioè Alfredo. Sulla stampante, sequestrata a casa dei miei genitori, che la polizia scientifica affermava essere quella usata per stampare il volantino, c'è poco da dire, perché il computer e la stampante li ho comprati io e li abbiamo distrutti dopo l'uso (la cosa da notare è che una volta che il riesame aveva confermato i nostri arresti, gli stessi scienziati dei RIS si sono accorti che probabilmente non era la stessa). Per quanto riguarda il furto del motorino, per il quale procedete contro di noi e fantomatici ignoti, le cose sono meno complicate di quanto vi sforzerete di ricostruirle. Abbiamo girato per la città cercando di risolvere il problema, visto che non avevamo alcuna esperienza con tale pratica. La fortuna, come si sa, aiuta gli audaci, infatti nell'amena località di Bolzaneto ci siamo imbattuti in uno scooter con le chiavi dimenticate inserite nel quadro, le abbiamo prese ed abbiamo deciso di tornare dopo qualche giorno con un casco. La moto era ancora parcheggiata nello stesso posto, mi è bastato salire in sella, accendere e portarla dalle parti del cimitero di Staglieno dove è rimasta fino a quindici giorni prima dell'azione quando l'ho spostata nei pressi dell'abitazione dell'ing. Adinolfi. Mi scuso con il proprietario per averla svuotata dai caschi e dagli altri oggetti che c'erano sotto il sellino e per aver buttato il bauletto posteriore,purtroppo erano di impiccio e, decisamente non era salutare l'idea di cercare di restituirli. Un altro elemento su cui gli investigatori hanno ricamato e, temo, cercheranno di utilizzare da bravi inquisitori in futuro , è un'intercettazione realizzata al C.S.L. di Napoli, in cui alcuni compagni commenterebbero il volantino che avrebbero ricevuto, in anteprima mondiale, via posta elettronica. Non ho idea di cosa parlassero, non sto a spiegare come il dialogo sia di difficile comprensione, a dir poco, e neppure è il caso di soffermarsi sull'evidente assonanza tra “Valentino” e “volantino”, ma so per certo che il comunicato è stato spedito solamente per posta ordinaria (abbiamo imbucato le lettere durante il cambio bus sulla via del ritorno, in una cassetta postale, sul lungomare, nei pressi del terminal traghetti), quindi è semplicemente impossibile che l'abbiano ricevuto tramite e-mail.
So per certo che userete il nostro caso per dare l'esempio, che la vendetta sarà draconiana, che farete di tutto per isolarci ( basti dire che è più di un anno che la nostra corrispondenza è sottoposta a censura), ma voglio darvi una cattiva notizia: si tratta di sforzi inutili. Sono perlomeno 150 anni che giudici, anche più feroci di voi, cercano di cancellare l'idea della possibilità di una vita libera dall'autorità, ma con scarsi risultati. Posso tranquillamente assicurarvi che le vostre azioni repressive, per quanto ad ampio spettro, per quanto indiscriminate, non potranno disarticolare o debellare alcunché. Se pensate di arrivare, grazie a noi, ad altri anarchici che abbiano deciso di sperimentare la possibilità caotica, spontanea ed informale della FAI vi sbagliate di grosso e non potrete che fare l'ennesimo buco nell'acqua; né io né Alfredo conosciamo alcuno che abbia fatto questa scelta. State dando la caccia ad un fantasma che non potete rinchiudere nelle anguste caselle dei vostri codici. Questo perché esso si manifesta nell'istante in cui le tensioni distruttive di coloro che l'animano si uniscono per agire, nel momento in cui donne e uomini liberi decidono di sperimentare concretamente l'anarchia. Ora che l'esperienza del Nucleo Olga si è conclusa, posso solamente assicurarvi che ho trovato nuove ragioni per alimentare il mio odio e motivi per desiderare la distruzione dell'esistente, fatto di autorità, sfruttamento e distruzione della natura.
Amore a complicità per le sorelle e i fratelli che con le loro azioni, in ogni parte del mondo, rendono reale il folle sogno della FAI/FRI.
Amore e complicità per le compagne e i compagni che, anonimamente o meno, continuano ad attaccare in nome della possibilità di una vita libera dall'autorità.
Amore e libertà per tutti i prigionieri anarchici.
Viva l'internazionale nera dei refrattari all'ordine mortifero della civilizzazione.
Viva l'anarchia!

Nicola Gai
Ferrara settembre 2013

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